Il 2020 visto da dietro uno sportello immigrazione

Quello che è appena terminato è stato un anno molto intenso (anche) per il nostro sportello immigrazione. Non solo a causa delle numerose prescrizioni per la prevenzione del contagio, che comunque hanno reso più tediosi alcuni iter e hanno quasi tolto allo sportello un suo tratto caratterizzante: il contatto con il pubblico. Il 2020 è stato un anno impegnativo perché nonostante il mondo si sia quasi fermato, la legislazione è andata avanti e le vite dei singoli utenti anche, per fortuna. C’è stato bisogno di fare uno sforzo congiunto in più per portare a termine il lavoro, ma vediamo nel dettaglio di cosa si vuol parlare.

La sanatoria 2020, il primo vero banco di prova di un clima mutato intorno a noi

Con l’articolo 103 del decreto-legge n.34/2020 si è introdotta la possibilità di far emergere i rapporti di lavoro irregolare in essere con cittadini stranieri, nonché di rilasciare permessi di soggiorno temporanei ai cittadini stranieri che ne erano già in possesso, scaduti dal 31 ottobre 2019 non rinnovati né convertiti in altro titolo di soggiorno. In sostanza, al comma 1 del suddetto articolo si da la possibilità al datore di lavoro di:

  1. sottoscrivere un nuovo rapporto di lavoro subordinato
  2. dichiarare un contratto irregolarmente instaurato con cittadini stranieri

Gli obiettivi sono chiari: da un lato, contrastare l’immigrazione irregolare e il lavoro sommerso ma soprattutto il sistema di connivenza e speculazione che ne è alla base. Il caporalato è un fenomeno purtroppo ancora diffuso in Italia e con uno spazio legislativo dedicato al suo indebolimento all’interno del Decreto Rilancio, il Governo ha voluto mandare un messaggio orizzontale. Né l’emergenza sanitaria, né quella economica possono fare da cuscinetto a situazioni di illegalità a carico di lavoratori molto spesso sfruttati.

Dall’altro lato, la sanatoria ha avuto come obiettivo quello di regolarizzare, attraverso nuovi contratti di lavoro, la presenza sul territorio italiano di una parte di cittadini stranieri che col decreto Salvini avevano perso diritto al permesso di soggiorno (a causa di un vacum giuridico), pur continuando a rimanere in Italia come “invisibili”. Dei nuovi sans papier à la italienne. L’emergenza sanitaria che si è scatenata a causa della pandemia ha reso necessaria la loro “visibilità” per tutelare e proteggere la Salute Pubblica, quale diritto individuale e interesse primario della collettività.

Le domande potevano essere presentate a partire dal 1° giugno e fino al 15° agosto, attendendosi a indicazioni molto precise e ad una compilazione della domanda molto scrupolosa.

Una sanatoria prevede l’emersione del lavoro irregolare e non solo. È un fatto sociale, oltre che legislativo. Inoltre, non è una finestra legislativa che si apre spesso. In Italia la prima è avvenuta a cavallo fra il 1986 e il 1987. La regolarizzazione numericamente più significativa, invece, è stata senza dubbio quella del 2002, con circa 650 mila nuovi permessi, il 57% dei quali di provenienza dell’Europa centro-orientale, in particolare Romania e Ucraina (Fonte: OIM su dati Istat e Ministero dell’Interno). Nonostante i limiti e i dubbi che può suscitare, il contrasto alla presenza e al lavoro irregolare in chiave “emersiva” ha un contraccolpo positivo non di poco conto in termini di gettito fiscale. La regolarizzazione, infatti, prevede il contestuale adempimento di tutti gli obblighi giuridici derivanti dal contratto di lavoro.

La regolarizzazione dei contratti e la questione del lavoro nero, tuttavia, non è stata la parte più pregnante della sanatoria appena conclusa. Come anticipato all’inizio, infatti, l’articolo 103 non ha previsto soltanto l’emersione di contratti di lavoro irregolari. Altrettanto decisiva è stata infatti l’area di intervento sui nuovi contratti di lavoro che hanno finito per essere il salvagente di moltissimi permessi di soggiorno già in essere. Su questa parte si sono concentrati i nostri sforzi. Si può affermare quindi che la novità più importante introdotta dalla Regolarizzazione 2020 non risiede nell’emersione di lavoro nero ma nella possibilità di realizzare nuovi contratti (soprattutto in agricoltura) ai quali ci siamo dedicati in uno sforzo comune per superare i danni creati dalla precedente normativa che aveva lasciato un vuoto giuridico totalemente a spese di cittadini stranieri già presenti sul territorio italiano.

Ora, immaginate però cosa può voler dire incontrare i singoli utenti in un clima di distanziamento e dispositivi di lotta alla pandemia. Esatto, prendete la novità della sanatoria, mescolatela con un numero appuntamenti senza fine, aggiungete il plexiglass, togliete il contatto umano, una spruzzata di igenizzante e dividete l’ossigeno per quello che riesce a filtrare dalla mascherina. Ecco che avrete come risultato lo sforzo che si è compiuto allo sportello per vincere la battaglia contro il tempo.

Di minore sorpresa ma di sempre uguale impatto è l’avventura con il Decreto Flussi

Il 31/12 si è chiusa la finestra del decreto-flussi, ossia l’istituto giuridico che autorizza, previa richiesta telematica, il rilascio per permessi di soggiorno per lavoro subordinato e stagionale e quindi l’ingresso sul nostro territorio di nuovi lavoratori stranieri (non comunitari).

Il decreto flussi venne introdotto nel 1998, all’interno della celeberrima Legge Turco-Napolitano, e dal 2001 viene emanato annualmente in rispetto del Documento Programmatico, un documento triennale con il quale si pianificano (tra le altre cose) i flussi migratori in ingresso in Italia.

La novità del 2020 risiede nelle 6.000 quote introdotte per riservate alle assunzioni nei settori dell’autotrasporto, dell’edilizia e turistico-alberghiero per cittadini dei Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria.

Sarebbe riduttivo, tuttavia, fermarsi soltanto ai numeri. Sarebbe anche inutile, a questo punto, poiché la quantità di domande ha sovrastato, di certo, i posti disponibili. Però ci sembra interessante porre la questione dal punto di vista degli operatori e delle operatrici di sportello che si impegnano a lavorare, contro il tempo e contro i tanti imprevisti che possono esserci dalla presentazione della domanda al riconoscimento della quota. Anche quella del Decreto Flussi, quindi, è stata un’avventura vissuta con tenacia e determinazione, nonostante gli orari impietosi e la stanchezza che è sopraggiunta.

Abbiamo voluto raccontare solo due macro episodi per la loro enorme portata sul nostro lavoro. Tuttavia, sono molte, molte di più le storie che si incrociano con la legge (e viceversa) dalle quali nascono richieste che vanno dal ricongiungimento familiare, al permesso di soggiorno per studio, oppure dall’ottenimento della cittadinanza italiana, passando per un aggiornamento di permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Sono tante le persone, tantissime le storie, molte di più le vicende personali e famigliari che si nascondono dentro a un faldone.

Beh, si potrebbe concludere che ci sono lavori più difficoltosi ed anche più usuranti, il che è vero. D’altra parte, non si può ignorare il sacrificio di chi porta avanti uno sportello immigrazione con responsabilità, soppesando ad ogni pratica il peso delle vite umane che sta dietro a kit o codici vari. Questo è il valore aggiunto che contraddistingue un lavoro da una missione. E per il 2020 la nostra missione si può dire compiuta.

Ius soli: perché (ogni tanto) si torna a parlarne

Di CLAUDIA SALERNO

Nella notte fra il 5 e il 6 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge dal titolo “Misure per la sicurezza delle città, l’immigrazione e la protezione internazionale”. Un insieme di misure volte a stemperare, parzialmente, le misure precedentemente vigenti in materia di immigrazione e sicurezza. Fra queste, anche il termine massimo per il riconoscimento della cittadinanza italiana, che era fissato a 48 mesi dal momento della presentazione della richiesta.


L’acquisizione della cittadinanza italiana è un argomento che appare e scompare dall’agenda politica. Ultimamente, alcune vicende hanno riportato a galla l’argomento (es. caso Suarez) senza approfondire, però, le ragioni di immobilismo legislativo che impediscono un vero aggiornamento della normativa.

Facciamo un piccolo passo indietro. Lo ius soli è il principio di trasmissione della cittadinanza, così come previsto per legge in nazioni tipo gli Stati Uniti o il Canada. In Italia, ai sensi della Legge 91 del 1992, vige il principio dello ius sanguinis che, in senso opposto, prevede la trasmissione della cittadinanza per via “ereditaria”, di madre (o padre) in figlio. Ne deriva che chi nasce in Italia non è sempre italiano. Non lo è, di certo, se non lo sono né la mamma, né il papà.

Sembra che in Italia si torni a discutere di ius soli ma solo come riconoscimento dell’attuale normativa, di fatto obsoleta e fra le più arretrate in Europa. Questo perché, contestualmente al mutamento sociale, anagrafico e antropologico della società italiana non si è affiancato un aggiornamento legislativo ed è qui che entra in gioco la politica. Il ventunesimo secolo è quello del ritorno dei sovranismi nazionali che si interpongono, inevitabilmente, fra il mutamento della società italiana, divenuta a tutti gli effetti multiculturale, e l’adeguamento della normativa.

Alcuni dati ISTAT ci aiutano a capire cosa produce, nella realtà, l’anacronistico principio dello ius sanguinis. Nel 2018 i bambini stranieri (quindi figli di cittadini di Paesi terzi) sono stati oltre 65 mila, ossia il 15% dei nati in Italia. Quindi, ad esempio, fra 10 anni un bambino su sei sarà “straniero”, pur condividendo coi suoi coetanei lingua, cultura, educazione, interessi, dieta, luoghi di aggregazione, ecc… È evidente, allora, che la modalità di acquisizione della cittadinanza non è un cavillo burocratico: è un problema di riconoscimento culturale, politico, sociologico e antropologico. Sono più di 800 mila i bambini e ragazzi di origine straniera nati o cresciuti in Italia,che sono parte integrante della nostra società e si sono formati nelle nostre scuole. Una riforma è necessaria per rendere loro il riconoscimento adeguato di cellule vive del nostro tessuto sociale, in senso inclusivo anche dal punto di vista anagrafico. Il rischio discriminatorio, infatti, è dietro l’angolo: fra i diritti fondamentali che vengono limitati vi è prima di tutto la libertà di circolazione dentro i confini UE. In secondo luogo (ma solo in termini temporali), vi sono problemi di ammissibilità a concorsi pubblici e ordini professionali. Lo sbarramento più alto, però, resta quello dell’ammissione all’elettorato attivo e passivo, per i quali la cittadinanza italiana è un requisito fondamentale.

Tuttavia, nonostante le lungaggini à l’italienne, qualcosa (lentamente) si muove. Seppur nel 2017 la proposta legislativa sia stata bocciata in Senato, attualmente l’ipotesi di aggiornamento normativo ruoterebbe intorno al concetto di ius culturae (o ius soli temperato) che si rivolge proprio alle migliaia di bambini nati in Italia da cittadini stranieri, ivi stabilmente residenti. La proposta di modifica della Legge 91/92 è contenuta nel disegno di legge 2092, al cui articolo 1 (co. 1 lett. d) si legge: “Beneficiario è il minore straniero, che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età. Egli acquista di diritto la cittadinanza, qualora abbia frequentato regolarmente (ai sensi della normativa vigente) un percorso formativo per almeno cinque anni nel territorio nazionale (…) La cittadinanza si acquista – anche per tale nuova fattispecie – mediante dichiarazione di volontà. Essa è espressa (all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza del minore) da un genitore legalmente residente in Italia o da chi eserciti la responsabilità genitoriale, entro il compimento della maggiore età dell’interessato. Ai fini della presentazione della dichiarazione da parte del genitore, è dunque richiesta la sua residenza legale, la quale presuppone la regolarità del relativo soggiorno.” Una bella novità, quindi, che però è rimasta bloccata in Senato, dal quale non è mai uscita come approvata e le motivazioni, anche questa volta, sono politiche.

I flussi migratori sono un tema politico caldo e, in quanto tale, può far spostare l’asticella dei consensi, a destra o a sinistra. L’acquisizione della cittadinanza, però, non è una mera questione politica ma una vera e propria questione identitaria, per chi la vive in prima persona. Di appartenenza. Di cultura. Di legami. Ci sono migliaia di bambini (stranieri) nati in Italia che l’unico Paese che hanno mai visto è proprio l’Italia. L’unica lingua che conoscono è l’italiano. L’unica storia che conoscono è quella di Garibaldi e Cavour e mangiano ogni giorno tortellini,  polenta e arancini. È importante, dunque, che se ne torni parlare ma non è più sufficiente.

QUANDO AD EDUCARE… E’ UNA CAPRA.

Microstorie del progetto Daara (Dipartimento di Malem Hodar – Senegal).

Raggiungere Ndioum è lasciare alle spalle la strada asfaltata, da Malem Hodar, continuando sul rosso sterrato tra le foreste di baobab, i giganti silenziosi della brousse. La vita a Ndioum è polvere rossa, elettricità poca, un mercato settimanale, un pozzo, una moschea, un dispensario e due scuole: una coranica (daara) ed una franco-arabe. A vederla dall’alto Ndioum sarebbe la chioma del grande baobab sacro e tutto attorno i funghi dei tetti delle capanne. Forse si scorgerebbero, come formiche operose, le sagome dei tanti bambini che corrono  giocano tra i cortili. Bambini che spesso diventano adulti velocemente, perché la scuola ha dei costi di tempo, di impegno e di materiale, diventando insostenibile per le famiglie.

Negli stessi cortili spesso non mancano le capre, quelle che i nomadi Peul vendono al mercato, quelle che durante il Tabaski (festa del sacrificio) diventano bene primario per i festeggiamenti e per la comunità. A scuola, tuttavia, le capre non sono ben viste: quante volte sono state associate ad un alunno negligente o che faticava a comprendere la materia di studio? E quanti asini sono stati altrettanto coinvolti in questo tipo di discriminazione?  Tra gli intenti del progetto daara vi è anche quello di mettere in discussione queste visioni.

Con i fondi del  5×1000, Cim Onlus dona ai bambini di Ndioum e alle loro famiglie una capretta, destinata ad accompagnare il percorso scolastico degli studenti più vulnerabili. La capretta viene allevata, fornisce il latte per il tchakry (yogurt di capra con miglio) e un giorno potrà essere rivenduta, come investimento per comprare il materiale didattico e pagare le iscrizioni scolastiche. Non solo quindi, la capra non può essere comparata ad un “cattivo” studente, ma diventa fonte di conoscenza e di sostentamento. Attraverso questo dono si impara infatti  l’arte della cura, la pazienza e la dedizione nel coltivare sogni e speranze.

REGOLARIZZAZIONE TRA IERI E OGGI

Riflessioni di Andrea Fabbri, che sta svolgendo il Servizio Civile per Cim Onlus da gennaio 2020.

Dal primo giugno 2020 fino al 15 agosto è attivo il decreto per la regolarizzazione degli immigrati. Non è la prima volta che il governo fa una sanatoria: a partire dal 1982, anno della prima regolarizzazione con il Governo Spadolini, ne sono state decretate altre 11 da parte di governi di destra e di sinistra, compresa quest’ultima. Sommando il numero di immigrati che hanno usufruito delle precedenti regolarizzazioni, si arriva a poco più di 2,8 milioni di immigrati regolarizzati, persone che prima non avevano nessun tipo di documento, e quindi nessun riconoscimento, ora sono state riconosciute. Lo scopo della regolarizzazione è proprio quello di accrescere la popolazione straniera regolare, facendo uscire dalla condizione di irregolarità una parte degli stranieri privi dei documenti necessari a risiedere in uno Stato nazionale.

Per quanto mi riguarda, ritengo la regolarizzazione degli stranieri molto affascinante e gratificante, perché permette a delle persone che prima erano “invisibili”, come si usa dire, di poter godere dei diritti di cui godiamo tutti e di non essere più in una situazione di disagio. Devo dire che comunque mi sorprende quante persone, in particolare moltissimi ragazzi, vivono in zona in condizione di irregolarità, non oso immaginare a livello nazionale quante persone sono costrette a vivere in queste condizioni, senza diritto di soggiorno, senza tutele od un contratto di lavoro.


Purtroppo non posso conoscere le loro storie (anche se sarebbe interessante) ma conosco la storia di Fabiana. Suo padre viveva in Italia, la terra di Saturno per gli antichi, come irregolare, finché nel lontano 1998, proprio attraverso una regolarizzazione, si riuscì a regolarizzare. Fabiana, figlia di quella regolarizzazione, ora si occupa di immigrazione, aiutando gli stranieri con pratiche come la richiesta della cittadinanza italiana o del rinnovo del permesso, ed ora, con questa nuova sanatoria, si sta occupando anche degli irregolari di oggi, dando così un’identità a tante persone che prima non ne avevano una, proprio come è successo a suo padre. E chissà che magari, in mezzo a tutte queste persone che lei sta aiutando, non ci sia anche il padre di una futura “Fabiana”.